Rukeli. Un pugile contro il Terzo Reich

Chi segue il nostro Archivio l’avrà già capito: a noi i nazisti stanno parecchio antipatici. Non solo e non tanto per gli ovvi motivi per cui qualunque essere dotato di cuore, raziocinio e memoria dovrebbe odiarli senza sfumature, ma anche per quella loro capacità inquietante, propria dei cattivi della storia, di tornare e riproporsi, a ondate successive, peggio degli scarafaggi che spuntano dagli angoli bui.

Una cosa, però, va riconosciuta ai nazisti: sono dei formidabili generatori involontari di luce. Non la producono loro, naturalmente. Viene fuori per contrasto, sprigiona da alcune persone speciali che si trovano a contatto con la loro oscurità, si diffonde e regala un coraggio che in condizioni normali non esisterebbe. Il fatto è che non è mica semplice reagire al male in maniera creativa. È faticoso, quando si rimane nel buio più completo, raggiungere un interruttore qualunque senza inciampare da qualche parte e rovinare a terra.

Ecco, per esempio cadere a terra è una cosa che Johann Trollmann di solito non fa. Siamo nel 1933, e lui ha ventisei anni. Basta mettere una sua fotografia vicina a quella di Adolf Hitler per mettersi a ridere. Provate a dirlo voi, quale sia la razza superiore tra quella immaginaria di un ometto ridicolo e gonfio d’odio e quella imposta, cucita addosso, di uno zigeuner bello come un attore.

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Ha un fisico perfetto, la testa piena di riccioli e lo sguardo intenso. È un pugile professionista, ma non uno dei tanti; lui è probabilmente uno dei migliori della sua epoca. Il suo stile non assomiglia a niente di conosciuto: si muove sul ring come se danzasse, agile, veloce, scattante. Un talento puro, che gli esperti di boxe paragoneranno a quello che molti anni dopo inventerà Muhammad Ali. Gli uomini ne ammirano i movimenti imprevedibili, le donne gli lanciano fiori sul ring, e qualche volta lui sta al gioco, flirtando con loro durante gli incontri. Si chiama Johann, ma per tutti è Rukeli, che in lingua Sinti significa albero.

Perché Trollmann è tedesco di Hannover, ma è nato in uno dei momenti peggiori di sempre, in un’epoca in cui quelli come lui, comunque si chiamino e dovunque nascano, sono definiti come nient’altro che “un miscuglio pericoloso di razze deteriorate”. Sono zingari, tutti, e per quella gente che comanda in Germania la questione zingara è un problema grave, che potrà dirsi risolto soltanto “quando il grosso di questi asociali e fannulloni sarà sterilizzato” (come ebbe a dichiarare Robert Ritter, direttore dell’Istituto di ricerca sull’igiene razziale e la biologia della popolazione).

Siamo nel 1933, dicevamo. È il 21 luglio, e Johann Trollmann sta per salire sul ring, stanco come un uomo che ne abbia già passate parecchie. Lui non sa che il peggio deve ancora venire, non sa quale sarà il finale.

L’unica cosa che sa è che stasera lui perderà, perché su questo non c’è alcun dubbio.

Non che sia una novità, per uno come lui, in un’epoca come quella: poco più di un mese prima, il 9 giugno, si è trovato nella stessa situazione, a combattere per il titolo dei pesi mediomassimi, rimasto vacante perché il precedente campione, Erich Seelig, aveva l’imperdonabile colpa di essere ebreo. Allora è arrivato lui, lo zingaro, a cercare di vincere. Ha stravinto e quasi mandato al tappeto l’avversario, l’arianissimo Adolf Witt, ma i giudici di gara hanno cercato di dichiarare il combattimento nullo, proclamando un no decision.

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Lì è successo qualcosa di inconsueto, uno spiraglio di luce che per un istante ha abbagliato il camion in contromano che sta correndo addosso al mondo; è successo che il pubblico si è ribellato. Fischi, boati, disapprovazione, fino all’invasione fisica del ring. Decine di tedeschi, infiammati dalla rabbia dell’ingiustizia, hanno sollevato Rukeli in trionfo, buttandogli al collo la corona del vincitore e commuovendolo fino alle lacrime. Le autorità naziste, dopo aver rischiato il linciaggio, non hanno potuto fare altro che abbozzare, salvo poi cambiare le carte in tavola una settimana dopo.

Poiché “le lacrime non sono degne di un vero pugile”, come reciterà il comunicato ufficiale della federazione, Johann Trollmann ha dato un pessimo esempio di cattiva boxe con il suo “comportamento pietoso”, e il titolo non può essere che revocato. I veri uomini non piangono, insomma, semmai imbrogliano. Nello spaventoso mondo immaginario dei nazisti non possono esistere gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali, gli infermi di mente, i dissidenti politici; i truffatori invece sì, loro possono esistere, e prendere i posti di comando.

È per questo che ora Rukeli se ne sta lì, la sera del 21 luglio, ad aspettare di combattere di nuovo per il titolo dei pesi mediomassimi. Ad aspettare di perdere, senza scampo.

Stavolta la federazione è stata molto chiara, stavolta non ci saranno deviazioni dalla norma. Rukeli dovrà stare fermo, al centro del ring. Non potrà danzare. Non potrà schivare i colpi con i suoi “movimenti animaleschi”. Non potrà esaltare il pubblico con la sua “eleganza effeminata”. Qualsiasi ribellione, gli hanno detto, potrebbe avere conseguenze molto gravi, per lui ma soprattutto per la sua famiglia. I suoi genitori, gli otto fratelli, la moglie, la figlia. Rukeli dovrà evitare a qualunque costo di essere se stesso, di vincere, di mostrare al mondo che la supremazia della razza ariana è un abominio imperdonabile della storia. 

Rukeli non lo sa ancora, che il peggio deve ancora venire. Non sa che due anni dopo verranno promulgate le Leggi di Norimberga, ossia le leggi razziali. Non sa che gli verrà imposta la sterilizzazione per evitare la morte immediata, in modo da non spargere per il mondo il suo “terribile wandertrieb”, l’istinto migratorio tipico degli zingari. Non sa che sarà costretto a divorziare da sua moglie Olga e a non vedere mai più sua figlia Rita, per evitare che anche loro vengano perseguitate come lui. Rukeli non lo sa, anche se forse ormai lo immagina, che la sua vita finirà tra pochi anni, nel campo di concentramento di Wittenberge, costretto a combattere come un fenomeno da baraccone per un po’ di pane, ormai semplice numero: 9841, triangolo marrone.

Non sa nemmeno che sarà il suo ultimo guizzo di orgoglio a perderlo: un kapò ex pugile dilettante, che non merita nemmeno di essere nominato, lo sfiderà in combattimento, e riuscirà ad andare al tappeto contro l’ombra di Rukeli, quaranta chili di disperazione, debole ma mai sconfitto. Si vendicherà, il kapò, uccidendolo a badilate, perché l’abbiamo già detto, i veri uomini non piangono, e nemmeno conoscono l’onore.

Rukeli non sa niente di tutto questo, perché è ancora il 21 luglio del 1933, e lui deve salire sul ring. La sua missione è perdere. Il suo allenatore prova a dargli dei consigli ragionevoli: copriti, mentre stai fermo. Proteggi le costole, piantagli i gomiti sui pugni. Rukeli ascolta, forse annuisce.
Lui la sua decisione l’ha già presa.

Lo sfidante, Gustav Eder, un metro e settantuno di orgoglio ariano, non crede ai suoi occhi quando vede Johann Trollmann salire sul ring.

Rukeli si presenta con i riccioli neri tinti di biondo e tirati indietro, completamente cosparso di farina. Il Reich vuole eroi ariani, e Rukeli gli sbatte in faccia tutta intera la grottesca pagliacciata che sta spegnendo l’anima del mondo.

Obbedisce alle regole d’ingaggio, e per i primi quattro round si fa picchiare senza reagire. Eder, inferocito, mena come un fabbro, colpisce in maniera scomposta anche oltre il suono della campanella, cerca parti del corpo proibite.

Rukeli crolla a terra a metà del quinto round, coperto di sangue, circondato da una nuvola di polvere bianca. Ha perso, come da copione. Ha perso, e ha appena cominciato la discesa nell’abisso, insieme a milioni di persone come lui, colpevoli per la loro non conformità.

Rukeli ha perso, ma anche grazie a lui ora sappiamo che a volte è preferibile un’eroica sconfitta a una vittoria senza onore. E sì, quando tutto è perduto e la partita è truccata si può ancora fare, si può ridere in faccia all’orrore, non per vincere un titolo inutile, ma per ricordare a chi resta di essere stati, una volta, esseri umani.

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Per chi volesse approfondire la storia di Rukeli consigliamo due libri, usciti entrambi nel 2016: Razza di zingaro, di Dario Fo (Chiarelettere), e Alla fine di ogni cosa, di Mauro Garofalo (Frassinelli).

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