Antonio Paolacci (Maratea, 1974) e Paola Ronco (Torino, 1976) vivono a Genova e sono compagni di vita. Entrambi hanno già all’attivo diverse pubblicazioni. A quattro mani scrivono la serie dedicata alle indagini del vicequestore aggiunto Paolo Nigra, inaugurata dal romanzo Nuvole barocche (Piemme, 2019).
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Quando ci siamo incontrati, nel 2009, eravamo due giovani autori esordienti, uniti dal fatto di essere stati scoperti da Luigi Bernardi, una delle figure più illuminate dell’editoria italiana.
In qualche modo misterioso le nostre scritture si somigliavano molto, già da prima di incontrarci. Non tanto per stile, quanto per un senso estetico comune, un umorismo simile e una tensione etica che ci faceva sempre tornare sugli stessi argomenti.
La scintilla è partita all’improvviso. Avevamo da tempo questa idea che ci piaceva raccontarci e rimpallarci, improvvisando sviluppi e possibilità.
Il pensiero di lavorarci a quattro mani è arrivato di colpo, come una soluzione quasi ovvia, ma che fino ad allora ci era sfuggita. Da lì, tutto è venuto da sé con una facilità sconcertante, dandoci la sensazione magnifica di essere a un punto d’arrivo che ci aspettava da sempre.
Come si fa a scrivere a quattro mani?
Noi ideiamo insieme la trama e i personaggi, discutendone come ragazzini entusiasti; parlandone, mettiamo a punto i dettagli, trovando le soluzioni che più soddisfano entrambi; quando si passa alla fase di scrittura vera e propria, uno di noi attacca un capitolo, in base al momento o all’ispirazione, e poi lo passa all’altro; l’altro lo rivede, aggiusta a suo gusto e rispedisce la palla per una terza revisione provvisoria. E così via. Procediamo insomma come in una partita a ping pong, alla fine della quale noi per primi non saremmo più capaci di dire chi ha assestato quale colpo.
Col tempo, abbiamo scoperto che il nostro metodo di lavoro è molto simile a quello di Fruttero e Lucentini, autori che consideriamo inarrivabili maestri in più di un senso, e che per questo ci siamo permessi di omaggiare in più di un modo nei nostri romanzi, a cominciare dall’idea stessa di restare nel solco del romanzo giallo italiano, da loro in gran parte definito e portato alla massima espressione.
In due siamo in grado di sfruttare i nostri punti forti e di correggere, almeno un po’, i nostri difetti, fornendo alla scrittura uno sguardo più allargato, e anche un più forte lato umoristico, che nasce dal nostro stesso confronto divertito.
Non è sempre facile, certo. Ma lo scontro tra noi, che può essere a volte molto acceso e altre volte molto comico, è parte necessaria del lavoro, indispensabile per smussare angoli e trovare un punto d’arrivo più soddisfacente.
Se comunque chiedeste a noi come sia possibile riuscirci, noi vi risponderemmo che il merito va tutto ai nostri personaggi, che ci sembrano ormai compagni di lavoro. Sono per noi così vivi che ogni tanto giriamo per i vicoli di Genova e ci guardiamo intorno per vedere se per caso qualcuno di loro non sbucasse da un angolo.
A Nigra, specialmente, vogliamo bene come a uno di famiglia. Appena lo abbiamo ideato, ci è apparso con forza dirompente, un protagonista ideale che permette a noi per primi di osservare la realtà da un’angolazione peculiare, rivelandone verità e contraddizioni, lati oscuri e aspetti grotteschi.
Inutile dire che la sua omosessualità è un aspetto importante e decisivo, che per noi non è mai stato né anomalo né forzatamente drammatico. La sua è un’ordinaria variabile umana che, secondo noi, meriterebbe maggior spazio nella narrazione di oggi. Anche perché, visti i tempi, ci permette un punto di vista privilegiato sui meccanismi discriminatori e sulla facilità con cui si può scivolare nei pregiudizi.
Ci piacerebbe insomma che Nigra potesse entrare a far parte delle vostre vite come fa parte delle nostre. Vorrebbe dire che siamo riusciti a regalare anche a voi quello che abbiamo scoperto noi stessi: un personaggio vivo, complicato come ognuno di noi, da difendere e da cui farsi difendere, come è diritto di ognuno di noi.