Il modo migliore per recitare una parte è quello di viverla.
Arthur Conan Doyle
Siamo a Great Wyrley, un villaggio nel distretto di South Staffordshire, in Inghilterra. Sono i primi anni del Novecento e qui, in queste terre battute dal freddo e dall’umido, sta accadendo qualcosa di inquietante.
Gli animali di diverse fattorie muoiono uno dopo l’altro. Ma non di malattia. Pecore, cavalli e mucche stramazzano nel cuore della notte, e vengono ritrovati al mattino, uccisi da armi da taglio.
La ferita, sempre uguale, squarcia le loro carni all’altezza dello stomaco, uccidendo le povere bestie per dissanguamento, dopo lenta e dolorosa agonia.
La comunità è spaventata. I fattori ritrovano le carcasse dissanguate al mattino, e giustamente si infuriano.

La polizia non sa in che direzione indagare. Per giorni crescono la rabbia e l’inquietudine; i cittadini vogliono un colpevole, ma è difficile capire chi possa essere stato. Fino a che una lettera anonima arriva sulla scrivania di un certo Anson, il capo della polizia dello Staffordshire.
Nella lettera si accusa un uomo per metà indiano, ben noto nella piccola comunità. Si chiama George Edalji e lavora come avvocato, oltre a essere il figlio del vicario: in apparenza una persona insospettabile, eppure da sempre malvisto dalla comunità, soprattutto per via della sua pelle leggermente più scura rispetto al pallore tipicamente inglese.
Il fatto è che la storia di Edalji è iniziata anche prima della sua nascita, quando suo padre, arrivato dall’India, aveva sposato una donna inglese, per poi convertirsi al cristianesimo e diventare capo spirituale della piccola comunità dello Staffordshire.
I suoi parrocchiani non lo hanno però mai accolto bene. Nel 1892, quando George aveva 16 anni, gli Edalji iniziano a ricevere lettere di minacce e, da allora, non smettono più. Qualcuno compra anche gli spazi pubblicitari sui giornali locali per insultare o accusare di varie colpe il vicario non gradito.
E così, crescendo in questo clima ostile, George studia fino a diventare un avvocato di successo, con una buona reputazione professionale.
Nel 1903, però, il ventisettenne avvocato George Edalji viene arrestato immediatamente, con l’accusa di aver ucciso gli animali delle fattorie in quel modo orrendo.
Suo padre giura che di notte George è sempre stato a casa, a dormire. Ma poco importa: per la polizia, e per l’intera comunità, il colpevole è lui.
Nonostante la totale assenza di prove e nonostante le sue stesse competenze legali, l’opinione comune vince, e Edalji viene condannato a sette anni di lavori forzati.

Da detenuto, Edalji legge molto. E c’è un personaggio in particolare a colpirlo, che ritorna in diverse novelle e romanzi pubblicati negli ultimi anni.
Quel personaggio è destinato a cambiare la storia delle procedure di indagine nella cultura occidentale, perché il suo metodo para-scientifico farà da punto di riferimento per le nuove scienze del crimine. È ancora oggi l’investigatore più noto e più importante della storia della letteratura mondiale. E un bel giorno, dopo ben tre anni di detenzione, George Edalji decide di scrivere una lettera all’autore che lo ha ideato, per raccontargli la sua storia.
E così, accade.
Nell’inverno del 1906, sir Arthur Conan Doyle parte per Great Wyrley, accettando il caso come avrebbe fatto il suo personaggio.
George Edalji lo incuriosisce e il suo caso lo stuzzica. Del resto è stato lui, Conan Doyle, a ideare il metodo investigativo di Sherlock Holmes. Chi meglio di lui potrebbe applicarlo nella realtà?
All’epoca si tratta di un metodo quasi rivoluzionario per l’individuazione dei colpevoli, cosa che fino ad allora veniva praticamente fatta senza alcun criterio codificato.
Il metodo di Sherlock Holmes si basa su alcuni principi granitici.
Primo: osservare senza emozioni. Il più comune errore di chi cerca la verità è farsi guidare da timori o speranze, dai pregiudizi, dalle idee che noi tutti abbiamo delle persone ancora prima di conoscerle. Ed è per via delle emozioni e dei pregiudizi che, per esempio, la comunità di Great Worley sembra convinta della colpevolezza di George Edalji.
Secondo: dedurre applicando la sola logica. In questo, l’indagine diventa un gioco quasi matematico, in cui il rapporto tra causa ed effetto va concepito come un calcolo statistico e probabilistico.
Ed è in questo modo che, di fronte al caso di Edalji, agisce Arthur Conan Doyle.
Immediatamente capisce che non sussistono prove valide che accusino Edalji di quei crimini. In più, verifica che altri animali sono stati mutilati in quella zona anche dopo che Edalji è stato arrestato, cosa che per la comunità non è altro che una coincidenza.
Ma in verità, proprio come avrebbe fatto Sherlock Holmes, Conan Doyle capisce che il giovane è innocente fin dalla prima volta che lo vede, solo grazie a un’occhiata.
Scriverà infatti:
Teneva il giornale molto vicino agli occhi e un po’ di lato, dimostrando un’elevata miopia e uno spiccato astigmatismo. La sola idea che un uomo del genere vagasse di notte nei campi per mutilare bestiame eludendo la sorveglianza della polizia mi sembrò da subito ridicola.
Arrivato nello Staffordshire, Arthur Conan Doyle interroga la gente del posto, raccoglie prove, esamina le scene dei crimini, valuta distanze, studia le carte del processo. Parla anche con Anson, il capo della polizia ancora convinto della colpevolezza di Edalji.
Contro di lui ci sono molte prove, gli dice Anson, e gliele mostra.
Ci sono i rasoi insanguinati che, secondo la polizia, erano stati usati da Edalji per uccidere gli animali. Ma Conan Doyle fa notare che sono soltanto vecchi rasoi da barba arrugginiti, per niente in grado di provocare le ferite inferte.
Ci sono tracce di terriccio rinvenute sugli abiti di Edalji, ma Conan Doyle le confronta con la terra prelevata dalle scene dei crimini e verifica che si tratta di terricci diversi.
C’è la perizia calligrafica sulle lettere che Edalji avrebbe scritto, accusando se stesso dei misfatti, ma Conan Doyle accerta che la perizia è inattendibile.
E così via. Arthur Conan Doyle smonta l’impianto accusatorio pezzo dopo pezzo, fino a dimostrare l’innocenza di George Edalji.

Nella primavera del 1907, a quattro anni dal suo arresto, Edalji viene finalmente rilasciato, prosciolto dalle accuse e riammesso alla pratica della professione di avvocato.
In seguito a questi fatti che, ben presto, vengono raccontati da tutti i giornali, la fama di Arthur Conan Doyle e quella del metodo investigativo di Sherlock Holmes hanno una nuova grande eco.
Conan Doyle usa questa eco per sensibilizzare l’opinione pubblica. L’accusa principale che muove alla polizia e ai tribunali inglesi è di portare spesso avanti le indagini non per scoprire il colpevole, ma per raccogliere prove presunte contro qualcuno di cui si sospetta da prima, senza fondate ragioni.
Secondo molti storici, è stato anche grazie a questa vicenda se, proprio nell’agosto di quell’anno, in Inghilterra è nata la prima corte d’appello, allo scopo di affrontare e correggere gli errori giudiziari.