Questa storia inizia con un ragazzo chiuso in bagno. Di lui sappiamo solo che ha 23 anni, che si è da poco iscritto all’università ed è chiuso in bagno da troppo tempo.
Non conosciamo il suo nome, perché nessuno di quelli che racconteranno la sua storia lo dirà mai, giustamente per rispetto. Non possiamo nemmeno essere certi di dove sia, sappiamo soltanto che è in Inghilterra, probabilmente a Sheffield, chiuso nel bagno del campus universitario.
Siamo all’inizio del 2007 e quello che sta per succedere sarà un mistero per psicologi e medici di tutto il mondo.
Il ragazzo non esce dal bagno perché è un maniaco dell’igiene, almeno così dicono alcuni degli studenti che aspettano fuori dalla porta. È ossessionato dalla paura dei germi, spiegano. Fa almeno due docce al giorno, lava le mani in continuazione. A volte è colto da ansia, il che lo isola ancora di più dai colleghi. Non ha amici, in effetti. Se ne va in giro con le spalle rigide, lo sguardo spaurito.
Quando finalmente esce dal bagno del campus, bofonchia un «Sorry» e corre subito via, si direbbe sconvolto. In quel bagno ha provato lunghi minuti di puro terrore.
Nei giorni seguenti non torna al campus. Ha dovuto prendersi una pausa dagli studi. C’è qualcosa che non va in lui e la sua famiglia gli consiglia una vacanza.
Quindi parte per l’estero: un viaggio per rilassarsi in una delle sue località preferite.
Ma la famiglia aveva torto: al rientro dal viaggio, il ragazzo è peggiorato.
Quando finalmente si decide a chiedere aiuto, quello che dice ai medici sembra la battuta di un film.
«Sono intrappolato in un loop di tempo», dice.
La sua storia apparirà su alcuni giornali come una curiosità, inevitabilmente affiancata alla trama di un famoso film del 1993 con Bill Murray: Groundhog Day, distribuito in Italia con il titolo Ricomincio da capo.
Il film è una commedia: la storia divertente, surreale e metaforica, di un uomo che si ritrova a rivivere in continuazione la stessa giornata: il Giorno della marmotta, appunto, una ricorrenza un po’ grottesca che viene celebrata in una località della Pennsylvania e che, significativamente, è di per sé una specie di festa del ritorno, della ciclicità, della ripetizione.
Ma questa storia non è una commedia e il suo protagonista non è un personaggio ironico interpretato da Bill Murray. È solo un ragazzo qualunque di 23 anni, anche se quello che gli succede è davvero surreale.
Qualsiasi cosa lui faccia, ha la sensazione di averla già fatta. Ogni gesto, ogni parola che sente, ogni cosa che vede: è certo di averla già vista, di averla già vissuta.
È iniziata piano, con pochi e brevi episodi, che poi sono diventati sempre più frequenti e sempre più lunghi.
Erano solo dei déjà-vu, gli hanno detto subito. Sono ancora dei déjà-vu: un fenomeno noto a chiunque e di cui quasi tutti abbiamo fatto esperienza. Un fenomeno che comunque ancora la scienza non ha definitivamente spiegato.
Secondo le teorie neurologiche, si tratterebbe di una sorta di breve epilessia circoscritta; per altri i déjà-vu sarebbero invece “episodi momentanei di disattivazione del sistema di recupero della memoria”; altri ancora parlano di una forma di “riprocessamento dell’informazione” attuato dal cervello per motivi sconosciuti; c’è poi chi sostiene che si tratti di semplici errori di interpretazione della memoria; e naturalmente ci sono le teorie parapsicologiche, secondo cui il déjà-vu sarebbe associato a poteri di precognizione, chiaroveggenza, percezioni extrasensoriali, profezie, visioni o memorie di vite passate.
Resta il fatto che questo ragazzo è un’anomalia. E davanti al suo caso, molte delle teorie appena dette non stanno in piedi.
Perché qui non parliamo di episodi di pochi secondi, ma di uno stato mentale che dura a lungo e si ripropone più volte al giorno.
Durante la vacanza, riferisce lui stesso, ci si è ritrovato intrappolato per ore. Ed è stato terrificante. Ma è stato solo l’inizio.
Al suo rientro la situazione peggiora ancora. La memoria continua a dirgli che non sta vivendo: sta rivivendo.
I medici sono sconcertati.
I dettagli del caso vengono rivelati in un rapporto pubblicato dal Journal of Medical Case Report. Nel 2008 il ragazzo viene sottoposto a una serie di esami neurologici. I test danno valori normali. Il caso viene studiato da accademici del Regno Unito, Francia e Canada. Nessuno arriva a una conclusione soddisfacente.
Passa un anno. Il ragazzo ha ormai definitivamente abbandonato gli studi. Viene trattato con una gamma di farmaci, senza nessun miglioramento.
L’unica cosa che si può fare è dargli dei sedativi, perché ormai non riesce più nemmeno a guardare la tv o ascoltare la radio, né a leggere giornali o libri.
Ha la costante sensazione di conoscere già ogni contenuto.
Di anni ne passano due, poi tre.
Chi pensa che possa trattarsi di un fenomeno legato all’attività all’interno del lobo temporale è smentito dagli esami, che non danno traccia di epilessia né di altre patologie.
L’unica ipotesi che si riesce a formulare è che lo stato d’angoscia causato dai déjà-vu sia esso stesso una causa di altri déjà-vu, il che crea un “feedback loop”, un circolo vizioso simile a quelli riportati in altre patologie, legate ad esempio agli attacchi di panico.
Un (altro) cane che si morde la coda.
Una spirale. Perché nel frattempo il tempo scorre eccome.
Di anni ne passano cinque, sei, sette.
Per il ragazzo ormai è come vivere nel passato momento per momento.
A oggi, la situazione resta immutata.
La dottoressa Christine Wells della Sheffield Hallam University – che ancora sta studiando il fenomeno – lo definisce il primo caso di déjà-vu persistente mai registrato.
“Egli è pienamente consapevole”, scrive la Wells nel suo rapporto “della falsa natura del suo déjà-vu persistente”.
Non è pazzo. Non è demente, schizofrenico, niente del genere. Non delira e non ha visioni. Sa di non essere per davvero intrappolato in un loop di tempo.
Anzi, è del tutto consapevole di essere vittima di una sorta di inganno perenne, da otto anni.