Il metodo delle stronzate

di Antonio Paolacci

«E allora facciamo anche un decreto contro l’eterofobia»
L’ultima uscita del venditore di fumo più divisivo d’Italia non è una “provocazione”, come pure la stanno definendo molti commentatori e giornalisti.
La dichiarazione, piuttosto, è quel che tutti gli esperti di semiotica e comunicazione definirebbero tecnicamente “una stronzata”.

Qui infatti si paragona qualcosa di esistente (l’omofobia) a qualcosa di semplicemente inesistente (l’eterofobia) e, dunque, per capirci, è un po’ come paragonare un viaggio in treno al teletrasporto:
«Il biglietto costa 15 euro, signore».
«E allora facciamo pagare anche il teletrasporto? Eh?»

È tecnicamente proprio una stronzata, non c’è molto da girarci intorno.
Non ha un valore retorico. Non è usata cioè per negare l’esistenza dell’omofobia (come dire: siccome non esiste l’eterofobia, non esiste nemmeno l’omofobia), perché i treni esistono, lo vediamo tutti, e il teletrasporto semplicemente no, non c’è.
Da nessuna parte nel mondo reale.

Eppure questa solenne stronzata induce a rispondere nel merito, per esempio spiegando che la legge Zan tutelerebbe anche le vittime di un eventuale atto di eterofobia.
Il che è pur vero, ma non ha comunque senso. Semplicemente perché, rispondendo in questo modo, rilanciamo la possibilità dell’esistenza dell’eterofobia:
«Il biglietto costa 15 euro».
«E allora facciamo pagare anche il teletrasporto?»
«Beh sì, anche il teletrasporto si deve pagare».
«E a chi lo fate pagare?»
«Beh, a nessuno, perché. Cioè».
«Ah, lo ammettete! Il teletrasporto non si paga e il treno sì! È un’ingiustizia!»

Lo vedete che succede?
Succede che improvvisamente vi ritrovate in un racconto di Achille Campanile e non riuscite più a uscirne.
E questo per una ragione molto semplice. Perché il problema è tutto un altro. Il problema è che l’invenzione dell’eterofobia serve proprio a insinuare l’idea che gli eterosessuali possano essere discriminati per via del fatto che sono eterosessuali.
E questa non è più una stronzata, perché molta gente di fatto lo sta iniziando a credere. Gente che vi dice che adesso, con questa “dittatura del politicamente corretto” noi etero non potremo più dire che un gay si veste male, per esempio.
«Vi rendete conto?» vi dicono. «Non abbiamo più nemmeno diritto a insultare i gay, le donne, i neri», vi dicono. «E di questo passo cos’altro? Non potremo più neanche picchiarli? Eh?»

Eccolo qui il problema. Dietro a questo giochetto si nasconde la confessione di ciò che queste persone sono e di ciò che non vogliono perdere.
Qui non si tratta del solito ribaltamento tra accusati e accusatori. Cioè non è come i famosi “E allora le Foibe”, “E allora i partigiani”, e simili. Qui c’è di più.
C’è il fatto che molti maschi bianchi etero (categoria generale alla quale appartengo anche io: diciamolo per inciso) si sentono davvero minacciati, davvero privati di un privilegio.
Perché così è. Nel loro futuro vedono la perdita del privilegio di insultare, minacciare, picchiare gay, donne, neri e chiunque loro reputino “inferiore”.

Del resto, molti di loro si sentono intimiditi dalle proteste di Black Lives Matter, così come sentono minacciate le loro abitudini se qualcuno critica vecchi film con elementi razzisti o statue di vecchi razzisti, e provano fastidio per le serie tv, i film o i romanzi che raccontano i gay o i neri come persone uguali a loro.

Perché così è: c’è una parte di mondo che, finalmente, minaccia gli ingiusti vantaggi di cui i maschi bianchi etero hanno sempre goduto.
E se appare tanto difficile uscire da questo racconto dell’assurdo è proprio perché c’è una grande e antica impalcatura di idee sbagliate che sorregge l’intera società.
Abbatterla sarà lunga e sfiancante, ma per farlo non può esserci un inizio diverso da quello che stiamo vedendo in questo momento: il momento in cui chi è terrorizzato dall’idea di perdere potere, non avendo altri argomenti, non può fare altro che dire stronzate.

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