La fame che non passa

A proposito di politica,
ci sarebbe qualcosa da mangiare?

(Totò)

Tra i miei personaggi mitologici preferiti c’è uno scellerato incosciente. Si chiamava Erisittone, era re di Tessaglia e distrusse un bosco sacro alla dea Demetra solo per costruirsi una sala da pranzo. Ragion per cui ha sempre meritato la mia ammirazione.
Poi, certo, il mito dice che bisognerebbe sempre temere la collera degli dei e difatti, per punirlo, Demetra lo maledisse. Per via della faccenda della sala da pranzo, la maledizione consistette in una fame che potremmo giustamente definire epica. Cioè Demetra gli fece venire un appetito inesauribile. Una voracità continua. Per mangiare, Erisittone spese tutte le sue ricchezze, fece varie cose orribili e alla fine divorò anche se stesso.

Dopo Erisittone, la letteratura ha creato una serie di figure straordinarie legate alla fame. La tradizione popolare italiana ci ha regalato alcune memorabili maschere della Commedia dell’Arte sempre in cerca di cibo, e forse ha raggiunto l’apice con lo Zanni di Dario Fo e molti personaggi di Totò. Poi, su altre sponde e in tempi molto più recenti, c’è per esempio Norman Bombardini, l’obeso ideato da David Foster Wallace, un perfetto novello Erisittone che può contribuire a darci un’idea dei due modi fondamentali in cui i personaggi che mangiano in continuazione possono essere significativi in letteratura: o come simboli del popolo affamato, oppure – all’opposto – come emblemi della voracità del potere.

1954

I miti e la cultura letteraria, si sa, funzionano così.
Ma noi di Archivio Roncacci non raccontiamo storie inventate. Noi qui vi offriamo quelle vere. E quelle vere non sono sempre facili da trasformare in un messaggio univoco, né sempre divertenti.

Eccovi allora la triste, incredibile e terribile storia del più grande mangiatore realmente esistito.

Gli storici lo chiamano Tarrare, a volte citato come Tarare. Del suo nome non sappiamo molto, non sappiamo nemmeno se fosse vero o magari un soprannome, ma siamo certi che quest’uomo sia esistito.

Nato nel 1772 nelle regioni rurali della Francia, dalle parti di Lione, Terrare cresce in una famiglia povera e fin da piccolo ha fame, molta fame, moltissima fame.
Da ragazzino mangia come un bue, anzi di un bue è in grado di mangiarne un quarto in una sola giornata. Gli piace la carne, soprattutto, cosa che per una famiglia povera di contadini non è proprio una manna. I genitori lo sfamano per un po’, si indebitano, iniziano a disperare, infine lo cacciano da casa.

A 17 anni Tarrare è un ragazzo magro d’altezza media. Capelli biondi e sottili, aspetto strano.
Molto strano.
In realtà, più che magro, è magrissimo, pesa appena 45 chili, il colorito verdognolo, le labbra introflesse, i denti lerci.
Quando scoppia la guerra della Prima Coalizione, nel 1792, Tarrare ha venti anni e si arruola nell’Armée révolutionnaire française.
All’inizio è tranquillo, la guerra non lo spaventa, il problema è semmai che le razioni offerte dalle milizie sono niente, per il suo appetito.
Per ottenere più cibo, il ragazzo fa di tutto: accetta umiliazioni, pulisce latrine, implora. Ma comunque ha fame. Ha ancora e sempre fame. Fino a che, per la fame, gli viene un esaurimento nervoso.

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Tarrare nell’unico ritratto d’epoca rimasto

Lo trasferiscono all’ospedale militare di Soultz-Haut-Rhin, ma le cose non gli vanno meglio.
In ospedale gli quadruplicano le razioni, eppure la sua fame non si placa. Tarrare mangia le sue quattro porzioni, poi divora gli avanzi degli altri pazienti, poi si butta su cumuli di rifiuti, piatti sporchi, cataplasmi, comincia ad addentare oggetti non commestibili.

I medici non capiscono. Per cui lo costringono a fermarsi in ospedale e lo sottopongono a degli esperimenti.
Sono due, i medici. Si chiamano Courville e Percy. E vogliono vedere fin dove arriva la fame di questo strano ragazzo.

Lo portano in mensa. E attenti, adesso.
Tarrare divora due grandi pasticci di carne preparati per 15 persone, svariati piatti di lardo, formaggi, quattro litri di latte, e non si ferma. Va avanti per ore, fino a sera. Quando finalmente smette non è però per sazietà, ma perché crolla in un sonno profondo.
Sembra colpito letteralmente dalla maledizione di Erisittone. Allora i medici continuano a dargli da mangiare, per osservare cosa succede nei giorni successivi. E vedono che, pasto dopo pasto, il cibo lo trasforma anche fisicamente.

Il dottor Courville scrive nei suoi appunti che l’addome di Tarrare si gonfia «come un enorme palloncino». Quando mangia, la sua pancia si comporta cioè come un pitone che inghiotte un grosso animale. Quando non mangia, si sgonfia e la pelle cadente gli casca da tutte le parti, così tanta che «potrebbe gettarsela sulle spalle».
E lo stesso la faccia, perché Tarrare può ficcarsi «fino a dieci mele in bocca» (o almeno così scrive un certo Perceval B. Lord in una pubblicazione del 1839) e quindi, quando è vuota, le guance si afflosciano come due bisacce.

I medici non riescono a vedere una fine: più il ragazzo mangia, più continuerebbe a mangiare. Quindi decidono di spingere gli esperimenti oltre il confine dell’orrore.

Courville e Percy portano a Tarrare un gatto vivo. E no, non è una storia di Bram Stoker: è tutto documentato.
E sì, Tarrare lo mangia, tutto e «senza apparente sforzo», bevendo il sangue e lasciando da parte solo le ossa.
Poi d’accordo, lo vomita, ma diciamo che questo è un dettaglio, anche perché il gatto è solo il primo dei suoi animali vivi. Dopo, i medici gli danno da mangiare serpenti, lucertole, un’anguilla che, scrivono, inghiotte senza masticare.

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Tom Waits nel ruolo di Renfield in Bram Stoker’s Dracula di F. F. Coppola

Tarrare è un mostro. O se preferite è uno dei più interessanti freak registrati dalla storia.
Dopo i pasti migliori, una nuvola di vapore visibile a occhio nudo si alza dalla sua sudorazione e l’aria intorno diventa immediatamente irrespirabile. Cioè, non puzza semplicemente (parliamo di un’epoca in cui lavarsi era un evento per chiunque), no: lui emana miasmi mortali per via del metabolismo e della dieta. Perché Tarrare mangia, e mangia, e non assimila, non mette massa. Però gronda sudore caldo e nauseante, senza contare che, ai pasti, si mette a ruttare come un cinghiale e, quando non crolla dal sonno, si lamenta colpito da attacchi violenti di dissenteria, descritti come «fetidi al di là di ogni concezione».

Dopo un po’, forse stremato lui stesso dai suoi esperimenti disgustosi, il dottor Courville decide di liberarsi del mostro.
Lo spedisce, insieme a una lettera, al generale di Beauharnais, suggerendogli di usarlo come corriere, per portare documenti segreti oltre le linee nemiche.

Beauharnais fa subito una prova. Gli fa ingoiare una scatola sigillata piena di documenti, che verranno poi recuperati due giorni dopo nel modo che potete immaginare.
Esperimento riuscito. Tarrare riceve in premio 14 kg di carne, che divora immediatamente di fronte ai generali dell’Armata.
Da questo momento, è ufficialmente una spia dell’Armée du Rhin.

Général_ALEXANDRE_FRANCOIS_MARIE_DE_BEAUHARNAIS_(1760-1794)
Il generale Alexandre de Beauharnais

Ma poi le cose si mettono male.
I soldati nemici lo catturano nei pressi di Landau. Viene perquisito, ovviamente senza risultati. Quindi i prussiani decidono di estorcergli le informazioni frustandolo, picchiandolo e torturandolo in diversi altri modi.
Esasperati dal suo silenzio, lo consegnano alla massima autorità del luogo, il generale Zoegli, al quale Tarrare rivela infine le sue capacità e il modo in cui vengono impiegate.
Per quanto increduli, i prussiani lo incatenano quindi in una latrina, dove la scatola con i documenti viene finalmente recuperata. Poi lo portano al patibolo, gli mettono la corda attorno al collo e ordinano al boia di lasciarlo penzolare.
Ma il boia non esegue.
In realtà era una messa in scena: una specie di punizione o, se volete, di ultima tortura psicologica prima del rilascio.

Traumatizzato e sfinito, il povero Tarrare torna tra i francesi ma rifiuta di partecipare ancora alla guerra. Implora piuttosto i medici di essere sottoposto a qualsiasi procedura che possa curarlo.
Percy gli somministra laudano, pillole di tabacco, aceto di vino, uova alla coque e dio sa cos’altro. Tarrare si arrampica di notte fuori dalle finestre della clinica per cercare qualcosa di commestibile nelle grondaie, poi si cala giù, gettandosi in mucchi di rifiuti e avanzi di carne.
Adesso non sembra più neanche un essere umano. Devastato dai traumi e dalle cure sperimentali, cerca di bere il sangue di altri pazienti dell’ospedale e, una notte, viene fermato poco prima che si metta a mangiare i cadaveri nella camera mortuaria.
Così viene espulso e noi perdiamo le sue tracce per quattro anni.

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Illustrazione di Gustave Doré per Gargantua e Pantagruele di François Rabelais

È il 1798 quando il dottor Percy viene contattato da un certo M. Tessier, medico dell’ospedale di Versailles, il quale dice a Percy di avere in cura un suo vecchio paziente che chiede di rivederlo.
Quando raggiunge Versailles, il dottor Percy stenta a riconoscerlo. Tarrare è ormai ridotto a una larva in un letto. Con un filo di voce, dice al suo vecchio medico di aver ingoiato una forchetta d’oro che gli sta causando dolori insopportabili. Prega Percy di rimuoverla. Ma il medico non gli crede.

Un mese più tardi, Tarrare muore. Ha appena 26 anni.
La causa della morte rimane abbastanza incerta. Del resto, il suo disturbo resta a tutt’oggi un mistero. Si pensa che possa aver sofferto di ipertiroidismo, altri parlano di un danneggiamento all’amigdala che lo avrebbe portato all’iperfagia, ma nessun caso di iperfagia ha mai raggiunto livelli simili.
I chirurghi dell’ospedale di Versailles tentarono anche un’autopsia, che però si rivelò difficile perché, a quanto pare, il suo corpo degenerava velocissimo. La forchetta d’oro, comunque, non venne trovata.

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