Miracoli e coincidenze

Quando si parla di miracoli, nella mia testa fa subito capolino quella scena di Ricomincio da tre con il tizio che chiede alla Madonna di fargli ricrescere la mano amputata. Lo ricordate? Quando appare la prima volta, Massimo Troisi dice a Lello Arena: “Tutt’e miraculi che saccio i’ su’ sempe ’e gente ca per esempio nun ce vedeva e po’ c’ha visto, però l’uocchie già ’e teneva; oppure ca nun camminava e po’ ha camminat’, ma ’e cosce già ’e teneva. Hai mai sintuto ’e quaccune ca nun teneva ’na cosa e l’è crisciuta?”

Non so per voi, ma per me il problema dei miracoli in definitiva è questo. Non voglio mancare di rispetto a chi ci crede, ma diciamo che io tendo un po’ a pensarla come un personaggio di Troisi. E cioè: mi scoccio. Mi scoccio di sapere che un tizio senza una mano non possa sperare in un miracolo e che, in pratica, non si conoscano casi di miracoli così tanto evidenti da non poter essere spiegati scientificamente. Mi scoccio di conoscere le dinamiche del bisogno di divino, del potere ecclesiastico, della tendenza innata alla sudditanza intellettuale della maggioranza. Mi scoccio perché a me piacerebbe (giuro) che i miracoli fossero veri, ma per credere ai miracoli occorre sempre bene o male crederci da prima.
E mi scoccia anche sapere che per alcuni è di sicuro più facile credere al miracolo che alle coincidenze, sia perché sono già credenti in partenza, sia perché in effetti ci sono coincidenze davvero incredibili.
Come quella che vi racconto oggi.

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È il primo marzo del 1950, ci troviamo a Beatrice, una cittadina sperduta nel Nebraska. Il reverendo Walter Klempel e sua moglie vanno in chiesa alle 16.00, per accendere la caldaia e scaldare l’ambiente in tempo per le prove del coro, che iniziano alle 19.30.
Siamo insomma – per capirci – nel cuore dell’America bianca di quegli anni, razzista, bigotta e maschilista. Il dio in cui crede questa gente è quasi un tizio, un tizio simile a loro, con delle simpatie e delle antipatie basate su dettagli come il colore della pelle. Un tizio che vorrebbe le donne sottomesse e disgustate dall’idea di fare sesso, mentre quelle che vanno in chiesa a fare le prove del coro gli piacciono molto, anche se poi brutalizzano e ghettizzano le ragazze un po’ più sveglie eccetera.
I membri del coro sono sempre puntualissimi, anche perché il reverendo ci tiene molto, alla puntualità, e se ci tiene il reverendo ci tiene anche quel dio che somiglia a un tizio di cui dicevo, si presume.
L’ordine tassativo è di arrivare con almeno un quarto d’ora d’anticipo, per le 19.15, e i coristi lo rispettano per devozione alla divinità.
Solo che oggi proprio lui, il reverendo, ha un contrattempo. La sua bambina di diciotto mesi si sporca il vestitino un attimo prima di tornare in chiesa.
Klempel e sua moglie si agitano. Nella loro vita americana degli anni Cinquanta non è prevista alcuna infernale macchia sui vestitini. Per cui si precipitano a cambiare la piccola prima di uscire. Per una volta, si dicono, faremo un po’ di ritardo, ma arriveremo comunque per le 19.30 (Dio sarà con noi).
Solo che, mentre sono lì che rivestono la bambina, sentono una forte esplosione che fa tremare le loro finestre.

Il reverendo e la moglie (della quale i giornali dell’epoca non riporteranno neppure il nome, per dire) corrono a vedere e non riescono a crederci: una colonna di fumo nero si alza proprio dalla chiesa.
La moglie senza nome del reverendo guarda l’orologio, sono le 19.25, e allora strilla, come si conviene a una donna, perché sa che al momento dell’esplosione tutti i membri del coro dovevano già essere in chiesa.

Nebraska Church Explosion

Pochi minuti prima, la direttrice del coro – una certa signora Paul dalla testa gonfia di lacca e onde da bigodini – è pronta per andare in chiesa come sempre. Solo che sua figlia Marilyn – che del coro è la solerte pianista – nel pomeriggio è crollata sul divano, perdendo i sensi per una specie di noia mortale in apparenza immotivata, e adesso si sta ancora vestendo.
La madre, dal piano di sotto, probabilmente continua a urlarle di darsi una mossa, ché non sono mai state così in ritardo e Dio non aspetta, santo cielo. Quando di colpo sente esplodere qualcosa in direzione della chiesa.

Alle 19.10 il signor Herbert Kipf, uno dei soli tre membri del coro di sesso maschile (giovane scapolo, sempre molto pulito, ben curato, delicato nei modi ma, ehi, assolutamente eterosessuale, ci mancherebbe), che per arrivare puntuale avrebbe dovuto uscire di casa non più tardi delle 19.00, è bloccato alla scrivania da una lettera urgente (di lavoro, dice lui), che deve spedire immediatamente e che ha quasi finito di scrivere.

Intanto la signora Schuster e sua figlia Susan, ennesima coppia madre-figlia di questo coro, che di solito arrivano in anticipo, credo per poter picchiettare l’indice sull’orologio e fare battute sui ritardi altrui, proprio oggi sono andate in visita dalla nonna, una vecchia coi capelli violacei che ha deciso di trattenerle più del dovuto per farsi aiutare a organizzare certi aiuti umanitari, ovvero impacchettare inutili vestiti costosi da inviare a dei bambini poveri che avrebbero bisogno di ben altro.

Invece Harvey Ahl esce di casa in ritardo perché, siccome sua moglie non è in città (non chiedetemi dove sia: io mi faccio i fatti miei), è costretto a portarsi dietro i bambini, il che lo rallenta molto anche per strada, fino a fargli perdere la nozione del tempo.

Royena e Sadie Estes invece ci sono: escono di casa puntualissime come sempre, profumate di lavanda percorrono il vialetto e salgono in macchina. Solo che oggi l’auto non parte. Royena tenta di metterla in moto, apre il cofano disperata, ma niente: deve averci messo lo zampino il diavolo, perché la maledetta non vuole proprio saperne di partire. Allora Sadie torna in casa e telefona a un’altra corista, la giovane Ladona Vandergrift, che per andare in chiesa deve passare dalle loro parti e così può dar loro uno strappo, se non ti dispiace, mia cara.

La liceale Ladona Vandergrift, però, nel frattempo si è incaponita a risolvere un compito di geometria particolarmente difficile. Cioè, sicuramente non ha fatto entrare il capitano della squadra di football dalla finestra, non è certo il tipo: è in ritardo per via della geometria. E quando risponde alla telefonata di Sadie (forse con un po’ di fiatone, per via della geometria) dice beh sì, certo carissima, passerò a prendervi anche se sono un po’ in ritardo per via di questa interessantissima geometria.

Nel frattempo Lucille Jones e Dorothy Wood, che di solito vanno alle prove dopo aver ascoltato un programma alla radio, oggi prendono la decisione un po’ peccaminosa di seguire quella trasmissione fino alla fine, perché oggi la puntata è davvero divertente. Per una volta faranno tardi alle prove, si dicono, e che vuoi che sia.

Infine Joyce Black, che vive vicino alla chiesa e per questo di solito esce di casa sempre pochi minuti prima dell’appuntamento, non guarda l’orologio, come sempre, perché è abituata a sentire le auto degli altri coristi arrivare, prima di uscire. E oggi non le ha sentite, quindi nemmeno sa di essere in ritardo, quando sente invece l’esplosione delle 19.25.

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La causa del boato è una fuga di gas dalla caldaia.
La chiesa brucia in pochi minuti. E, incredibilmente, brucia senza nessuno dentro.
In qualsiasi altro giorno, sarebbero morti tutti. Ma oggi, il primo marzo del 1950, i tredici membri del coro erano tutti quanti in ritardo.

Miracolo, dice quindi subito l’America bianca degli anni Cinquanta, con svariati articoli di giornale e qualche inchiesta della tv.
Miracolo.
Dio ha salvato i suoi fedeli.

E possiamo capirlo.
Di fronte a casi del genere, le coincidenze sono così tante che viene da chiedersi quale sia il nostro personale numero limite, cioè quanti casi fortuiti siamo in grado di sopportare prima di gridare al miracolo.
I giallisti dicono che tre indizi fanno una prova: se c’è un indizio che tu sia l’assassino, può essere un caso; se ce ne sono due, abbiamo il diritto di avere un forte sospetto su di te; ma tre indizi, dicono i giallisti, tre indizi praticamente ti inchiodano.

Quindi fate voi.
Da parte mia, come sempre, vi lascio decidere in autonomia. Mi limito solo a chiudere questo pezzo come l’ho aperto, e cioè con un piccolo omaggio a Massimo Troisi che di nuovo, ma questa volta in Scusate il ritardo, sottolineava in qualche modo il problema che abbiamo posto all’inizio, quando il suo personaggio Gaetano declina l’invito del parroco di “andare a vedere la Madonna che piange”, spiegando che in quel periodo si sente un po’ triste e non ce la fa a “vedere altra gente che piange”.
Se la Madonna rideva, aggiunge, di sicuro sarebbe andato a vederla. E poi, dice al prete, se la statua della Madonna rideva era meglio pure per voi, così nessuno poteva dubitare del miracolo. No?

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