Lo stupro di Palermo e il diritto di cronaca

di Paola Ronco

I giornali e i social stanno diffondendo in queste ore molti terrificanti particolari dello stupro avvenuto a Palermo.
Le chat nelle quali il branco degli stupratori si racconta quello che ha fatto, come lo ha fatto e come si è sentito nel mentre, sono un resoconto abbastanza devastante di come questi ragazzi vivano la sessualità e il corpo delle donne.
Io non credo, sinceramente, che sia stato utile pubblicare tutti quegli spaventosi commenti nei loro dettagli più feroci. Non lo credo prima di tutto perché queste parole rischiano di ferire ancora una volta la vittima dello stupro, condannata a rivivere ogni volta di più un’esperienza insopportabile, e anche perché potrebbe fare molto male ad altre vittime.
Ma non lo credo, soprattutto, perché temo che questo tipo di messaggi, rilanciati senza una minima rielaborazione, faccia una cosa cui non vorremmo pensare, eppure c’è: vale a dire, queste parole, queste vanterie, arrivano anche a uomini e ragazzi che su questa roba si eccitano, non c’è altro modo per dirlo.
Avete idea di quanti video porno a tema stupro siano reperibili in rete? Pensate che stiano lì per un caso? Quei video stanno lì per un motivo molto preciso, e cioè che un rilevante numero di maschi trova eccitante guardare una scena in cui una donna viene stuprata da uno o più uomini.
Sì, certo, sono fantasie. Sì, per fortuna la maggior parte di questi video sono girati da attrici e attori. Sì, due – o più – persone adulte e consenzienti possono divertirsi anche parecchio nel mettere in scena le loro fantasie.
Ma se abbiamo letto bene queste chat – e purtroppo l’abbiamo fatto, standoci malissimo – capiremo bene che, con buona pace delle persone adulte con una sessualità risolta, qui stanno crescendo generazioni di ragazzini convinti che quello che si vede nei porno sia reale. Che si faccia così nella realtà.
E allora che si può fare?
La censura, ovvio, fa schifo. Ma forse varrebbe la pena di cominciare a chiedersi se non sarebbe davvero ora di ripensare bene a cosa e soprattutto come pubblicare notizie così complesse, imparando a distinguere tra il sacrosanto diritto di cronaca e la ricerca del morboso. Imparando che ahimè, il livello di analfabetismo funzionale generale è molto elevato, e che chi scrive non ha solo il compito di dare le notizie, ma anche di capire il pubblico che ha davanti – e che l’audience e il numero di click non sono, non sono mai stati l’obiettivo ultimo del giornalismo.
E poi, anche, sarebbe davvero ora di pensare, immaginare e pretendere una reale educazione sessuale e affettiva, a partire dalle scuole. Basta con le scuse e i distinguo, basta con le ipocrisie.
Dobbiamo cominciare a mettere le mani dentro questo enorme rimosso della nostra cultura. E dobbiamo farlo adesso.

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