di Antonio Paolacci

E finalmente ieri lo abbiamo visto anche noi, e sia detto subito che nonostante avessimo aspettative alte, beh, è uno dei migliori film italiani degli ultimi anni.
Considerazioni sparse, senza spoiler, per chi gradisse leggerle:
Sydney Sibilia si conferma uno di quei registi così: quelli che sanno fare la magia. C’è chi mostra bravura, c’è chi ha maestria, e poi c’è qualcuno che possiede un’altra dote, una cosa che avverti ma che non sai dire: è quando ti pare che il film gira proprio bene, come se venisse fuori per conto suo, naturalmente. Ecco, quella cosa io la chiamo magia.
Scritto egregiamente: affianchiamo a quello di Sydney Sibilia i nomi di Armando Festa e Simona Frasca. Struttura ottima, personaggi memorabili, alcuni passaggi da applauso.
Gli anni Ottanta, il sud, la memoria di noi che eravamo bambini e ci ritroviamo lì, di botto calati in quegli anni talmente visibili che quasi quasi non senti nemmeno nostalgia, perché in qualche modo sei ancora lì.
Attori e attrici, cosa incredibile per un film italiano, tutti e tutte in stato di grazia, a partire dai tre giovanissimi protagonisti – Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena ed Emanuele Palumbo.
Premio della critica a un magistrale Francesco Di Leva, nei panni del capitano Fortunato Ricciardi.
Poi a un certo punto entra il personaggio interpretato da Fabrizio Gifuni: Arturo Maria Barambani e niente, a quel punto capisci che questo film in apparenza piccolo, leggero e senza troppe pretese, decolla e non si ferma più.
Alla fine, pure se non sembra, questa pellicola racconta non solo un’epoca, ma un pezzo di Italia ancora vivo e pulsante. E poi fa una cosa quasi filosofica: parla del concetto stesso di onestà e di quanto possa essere relativo, specie in Italia, e no, non solo a Napoli.