7 marzo
di Paola Ronco

Questa è una foto bruttissima di un momento intensissimo, pochi minuti prima di entrare nella casa circondariale di Marassi per il primo incontro di Adotta uno scrittore.
Non avevamo idea di cosa aspettarci, ma sapevamo che sarebbe stata una di quelle esperienze destinate a restare per sempre sotto la pelle.
Se non sei mai entrata in un carcere ma hai visto tanti film ti pare di avere un’ idea precisa, ma il rumore di quei duecento portoni, sentito dal vivo, non somiglia a niente di quello che pensavi.
E poi parlare, ascoltare, guardarsi negli occhi.
Il ragazzo con il fisico da calciatore che ti racconta che lui non è mai riuscito a trovare un libro che lo catturasse, e poi gli racconti Open di Agassi e lui dice che quello sì, quello ci proverebbe volentieri – e l’insegnante che, poi ci racconta, spende tutta la carta docente per comprare loro qualcosa.
Il trentenne con i capelli da samurai che vorrebbe leggere delle storie sulla lotta tra il bene e il male, poi ci chiede se noi crediamo in Dio e alla fine mi regala un santino, che non si sa mai.
E poi: “Ho iniziato a leggere il vostro libro, mi piacete perché anche voi usate la parola sbirri”.
E soprattutto: “Io, se dovessi scegliere tra un milione di euro e dieci secondi con i miei figli, solo dieci, io non avrei nemmeno un dubbio”.
Che grande, grande privilegio quello di raccontare storie, e quanta gratitudine.
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22 marzo
Ieri pomeriggio siamo tornati a Marassi per il secondo incontro della serie Adotta uno scrittore.
Rielaborare tutto quello che ci sta smuovendo dentro questa esperienza non è semplice.
Una delle cose che i detenuti dicono più spesso è che le persone fuori non capiscono, non hanno idea, ed è vero.
Un’altra cosa che dicono spesso è quanto mancano loro i figli, i nipoti.
Ieri ci hanno portato delle cose che hanno scritto e ce le hanno lasciate leggere ad alta voce per tutti; poesie, lettere d’amore, lettere che hanno scritto solo per sé stessi, abbozzi di fiabe.
Dopo ogni lettura è partito l’applauso spontaneo degli altri. Che potenza vedere questi uomini adulti applaudirsi e complimentarsi, anche davanti ai brani più sentimentali, senza un’ombra di cinismo, per una volta.
Uno di loro ha raccontato una sua idea per un romanzo per ragazzi che è una bomba; è lo stesso giovane uomo che il mese scorso è stato bloccato in corridoio da una guardia che probabilmente era di cattivo umore, e che gli ha chiesto dove stesse andando. A scuola, ha risposto lui. Non c’è nessuna scuola, gli ha detto la guardia, mentendo. Lui ha risposto male e si è preso un richiamo. Quarantacinque giorni di reclusione in più, così, per puro arbitrio.
Ci siamo stupiti, abbiamo chiesto se non si possa fare ricorso, qualcosa; ci hanno riso tutti in faccia, molto amaro.
La gente fuori non capisce come si sta qui dentro, ci hanno detto ancora.

Non si capisce, non si può capire. Eppure davvero, ogni persona dovrebbe andare a vedere con i suoi occhi, almeno una volta. E riflettere su quanto spesso per pigrizia, per incuria, per ignoranza dello stato di diritto, nel paese di Cesare Beccaria, si lascino andare in rovina degli esseri umani che hanno sbagliato e che magari avrebbero la voglia e la capacità di cambiare, nascondendoli sotto il tappeto come se non fossero mai esistiti.
La foto è di repertorio; è il muro dell’ex carcere di Termoli. La frase è di Italo Calvino.
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2 maggio

Ho fatto questa foto storta mentre aspettavamo che le guardie carcerarie risolvessero, brontolando e mugugnando, una magagna burocratica, una delle tante: non avevano ricevuto il numero di protocollo per lasciarci entrare.
In carcere, ci hanno spiegato le insegnanti e i detenuti, è tutto un problema burocratico dopo l’altro. Se vuoi un libro in biblioteca devi fare la domandina, l’ennesima; per questo spesso i detenuti lasciano perdere. E per questo, anche, il bibliotecario volontario del carcere le compila lui, le domandine; ci ha tenuto a ripeterlo a tutti durante la nostra ultima lezione oggi, per il progetto Adotta uno scrittore.
In carcere, abbiamo capito, non funziona quasi nulla, se non grazie alla buona volontà dei singoli e delle singole.
Per questo, anche se cercheremo in tutti i modi di proseguire questa esperienza con altri progetti di lettura e scrittura, sappiamo già che sarà complicato, una richiesta dopo l’altra, una mail dopo l’altra, in uno scontro frontale con persone che pensano che lavorare in posti così delicati sia solo un modo per prendersi uno stipendio o peggio, che il carcere sia solo una discarica sociale.
Del resto, leggere e scrivere non serve a cambiare il mondo, ce lo dicono sempre. Le parole non hanno importanza, dicono: un modo molto attuale per fingere vicinanza ai problemi reali e continuare a non farci nulla.
Però, per noi, le cose stanno così: sappiamo scrivere, non riparare robe; sappiamo parlare di libri, non di panificazione. E allora questo facciamo. Perché i libri non ci hanno salvato la vita – molte volte peraltro ce la amareggiano, parlando di editoria stretta – ma spesso ce l’hanno resa più sopportabile e dolce. E, sicuramente, senza la scrittura e la lettura saremmo molto più disadattati di così.
E se anche uno solo di questi ragazzi e uomini riuscisse a trovare una storia o una frase capace di parlargli forte e chiaro, ne varrebbe mille volte la pena.