di Antonio Paolacci
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Ieri agli Stati generali dell’immaginazione abbiamo parlato soprattutto di questioni concrete e cardinali. Non solo di cosa ci piace, non del nostro ombelico, ma di cosa ci spetta e dei doveri che abbiamo, tutte e tutti, anche chi non era presente in sala.
Massimo Carlotto e Patrick Fogli hanno organizzato qualcosa di cui c’era bisogno, di cui ci sarà ancora bisogno: l’inizio di una riflessione che, a differenza di molte altre, non è nata sterile o solo per promuovere poche persone specifiche.
Grazie a loro due, prima di tutto, davvero.
E grazie a chi ha partecipato, è stato bello e interessante sentire ogni voce.
Paola e io abbiamo cercato di dire che scrittura ed editoria sono entrambe un atto collettivo sempre, che sono un atto politico sempre, che sia volontario o meno: anche i libri in apparenza più innocui sono atti politici, perché sempre diffondono idee di società, di bene e di male, di giusto e ingiusto.
Abbiamo pensato di focalizzare l’attenzione su questo, in qualche modo ispirati dall’idea stessa dell’incontro, che aveva senso appunto perché collettivo, e per cui politico, concentrato su questioni che riguardano la società editoriale, e quindi quella culturale, e di conseguenza la società tutta.
Sono un professionista dell’editoria e autore di libri da 15 anni, e già una decina di anni fa provavo a far emergere alcune delle questioni che ieri abbiamo messo al centro del discorso, perché nel frattempo queste questioni sono esplose, costringendo chiunque a vederle.
Oggi, indipendentemente da cosa abbiamo fatto negli anni, stiamo perdendo libri non sostituibili con altri libri, se non in qualità di prodotti che fanno fatturato: stiamo perdendo visioni del mondo, voci, idee, conoscenza e riflessioni importanti.
Senza personalismi e in ottica appunto collettiva, non ha senso cercare persone colpevoli. Quello che succede è però responsabilità di chiunque tra noi abbia potere decisionale. Abbiamo il compito di non lasciare la narrazione in mano a una macchina, e cioè al meccanismo autonomo del cosiddetto mercato, che prescinde dalla volontà e dall’intelligenza individuali e va avanti per inerzia, senza etica, senza visioni, fantasia, memoria, senza rispetto e senza avanzare richieste.
Ne parleremo ancora, non c’è niente da fare, in un modo o in un altro ci tocca.
[In foto: l’occhio di Sauron direi, apparso così, a tradimento, sabato sera sulla torre degli Asinelli]